Chi ha paura della musica trap?

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Che la violenza pervada con modalità ed espressioni sempre più varie la società non è un mistero per nessuno. Che le cause della recrudescenza di questo fenomeno siano facilmente accertabili e definibili è, invece, cosa meno chiara e certa. Tra le letture più diffuse del fenomeno, in relazione soprattutto al mondo giovanile, c’è quella che indica in alcune delle tendenze culturali più in voga la legittimazione di particolari condotte violente. Sul banco degli imputati, destinataria di un’accusa di questo tipo, è spesso finita la musica trap, genere di origine statunitense che si richiama all’hip hop, tipico di una specifica sottocultura underground.

Non sarebbe solo un’esternazione artistica

Musica da periferia urbana, si può leggere in un qualsiasi libro che ne racconti le origini, impegnata nella narrazione del disagio, tra abusi, trasgressioni, contesti di povertà e violenza, la trap è il genere più ascoltato dai giovani italiani. In uno studio di Libreriamo del 2023, realizzato attraverso l’analisi di quasi 500 testi di rapper e trapper, è emerso che i temi più presenti sono la violenza, la disparità di genere e il consumo di droghe. Il sociologo e game changer Saro Trovato ritiene che quelli della cultura trap siano i dettami di una cultura mafiosa. «Il vero problema della trap – a suo avviso – non è semplicemente il sessismo, ma la logica del clan violento che si impone sugli altri. L’appartenenza territoriale è il fattore determinante, perché coincide con tutte le organizzazioni mafiose. Non bisognerebbe considerare la trap solo come un’esternazione artistica, stilistica, ma come un gruppo alla ricerca del potere con la forza».[1] Parole forti che incanalano un giudizio negativo nei confronti di una schiera di artisti che dominano le classifiche di vendite e ascolti. Sulle principali piattaforme musicali – Spotify, ad esempio – le canzoni più ascoltate e scaricate sono quelle di musicisti trap. I loro nomi iniziano a diventare noti anche a chi è solito ascoltare altri generi. Un esempio tra i tanti possibili è quello del ventiquattrenne napoletano Emanuele Palumbo, in arte Geolier, giunto secondo nell’ultima edizione di Sanremo[2]. Ma altri nomi di artisti più o meno affini all’universo trap non sono meno noti al pubblico italiano: Sfera Ebbasta, Baby Gang, Tony Effe e Rkomi, giusto per segnalarne alcuni fra i tanti.

Sessismo e violenza nella musica trap

Le critiche maggiori rivolte alla trap hanno a che fare con i contenuti delle canzoni. Secondo Libreriamo, i testi trap parlerebbero soprattutto di violenza e disparità di genere. Sei canzoni su 10 conterrebbero espressioni, anche violente, che nocciono gravemente alla dignità della donna. Nel novembre 2023 Codacons ha scritto alle radio italiane e alla Siae perché si mettesse in atto un boicottaggio per impedire la diffusione di canzoni rap o trap contenenti offese alla dignità della donna e istigatrici di violenza. Nella richiesta, Codacons ha inserito anche, a mo’ di dimostrazione dell’urgenza dell’intervento, alcuni stralci di brani di canzoni trap. Come quella in cui Emis Killa, evocando scene e violente fantasie ispirate da un videogame, immagina rapporti sessuali difficilmente basati sul reciproco consenso[3]. E qualcosa di non meno “equivocamente” misogino, se non addirittura di più “diretto”, si troverebbe in alcuni testi di Fedez e Gué Pequeno. Secondo una certa lettura del fenomeno, non bisognerebbe però prendere pienamente alla lettera quel che viene cantato nei testi trap. Si potrebbe far rientrare la trap nella famiglia delle sottoculture giovanili “maledette” che ogni generazione ha sperimentato con diversi gradi di partecipazione – dai teddy boys al punk – ma si rischierebbe di sfumare la complessità del fenomeno ricadendo nell’ennesimo cliché del conflitto intergenerazionale o riducendo questo a semplice moda[4].

Come un serpente che si morde la coda

Demonizzare la musica trap può non essere la soluzione migliore per chi vuole capirne il successo e il radicamento negli stili di vita dei giovani. La sua diffusione, del resto, non preoccupa tutti nello stesso modo. Per Matteo Lancini, psicologo e presidente della Fondazione Minotauro, il fenomeno è la cruda espressione del mondo nel quale viviamo. Un mondo di cui è responsabile proprio quella generazione di adulti che lo avrebbe reso possibile. «E così danno la colpa a quello che li circonda, ai trapper, ai videogiochi, a internet e anche un po’ alla pandemia. Noi – ha dichiarato Lancini – abbiamo creato una società in cui non c’è più valore, ognuno fa quello che vuole»[5]. È il ritratto di una generazione che, simile alle precedenti, sarebbe vittima della mancata comprensione dei padri, i quali, a loro volta, non sarebbero stati adeguatamente compresi da chi li ha messi al mondo, come un serpente che si morde la coda.

Trap, una messa in scena della realtà

Se così fosse, la trap, le sue applicazioni e derivazioni sarebbero la fisiologica conseguenza di un ordine destinato a perpetrarsi malgrado i tentativi di destabilizzarlo. Significherebbe che l’artista trap non farebbe sul serio, così come chi, ascoltandone le canzoni, ne assimila più il comportamento esteriore che il pensiero. Questa è la versione per così dire “rassicurante” che viene talvolta fornita del fenomeno. All’interno di questo si potrebbero individuare interpreti e protagonisti più o meno attendibili: da una parte, quelli che denunciano le contraddizioni del presente ostentandone le storture (violenza, discriminazione, lusso, cultura dello sballo); dall’altra, quelli che meno genuinamente potrebbero indossare una maschera che ne nasconde un’altra. Poco cambierebbe, comunque, per quanti credono che la musica trap sia solo una messa in scena della realtà, una narrazione parossistica così inverosimile e cinica che potrebbe venir presa sul serio solo da consumatori creduloni.

[1] https://libreriamo.it/intrattenimento/allarme-trap-canzoni-testi-violenza/
[2] «Anche in Italia i massimi esponenti della musica trap ed urban sono riusciti a ritagliarsi il proprio spazio all’interno dei palcoscenici più importanti: basti pensare alla partecipazione dei diversi artisti trap al festival di Sanremo che ha premiato per ben due volte Mahmood (particolarmente influenzato nel suo passato dall’hip hop e dalla trap), entrambe con la produzione di Charlie Charles, lo stesso produttore di Ghali e Sfera Ebbasta» (Francesco Caroli, Il mutamento delle subculture. Dai teddy boys alla scena trap, Meltemi, Sesto San Giovanni 2023).
[3]Guarda quella / come mastica la cicca. / Le fischio ogni volta / che passa di qui. / Vorrei prenderla da dietro / come in Assassin’s Creed” (Emis Killa, “Nei guai”).
[4] «L’associazione tra i generi che rientrano nella categoria “musica problematica” con i comportamenti esternalizzanti potrebbe essere in parte spiegata dal trasmettere un’immagine di resistenza all’autorità adulta, assieme alla condivisione e apprendimento tra pari, vissuti tipici dell’adolescenza» (Silvestro Lecce, Federica Bertin, Generazione trap. Nuova musica per nuovi adolescenti, Mimesis, Milano 2021).
[5] Chiara Di Cristoforo, Simona Rossitto, Livia Zancaner, In trappola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi e modelli sessisti, Il Sole 24 Ore, Milano 2024.

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