Il Presidente Silvio Berlusconi all’Eurispes: “Ci vuole un Piano Nazionale delle Riforme, ma condiviso da tutti”

M. Riccardi © Agr

L’Italia è alla ricerca della giusta ricetta per il rilancio. L’Eurispes ha quindi pensato di chiedere ai Presidenti del Consiglio della Seconda Repubblica quali, a loro giudizio, siano le vie d’uscita possibili alla crisi economica e sociale generata dalla pandemia. Il primo a rispondere è l’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Presidente, l’Europa viene in soccorso dei paesi più colpiti da Covid-19 con centinaia di miliardi, in parte da restituire e altri a fondo perduto. I cosiddetti “paesi frugali” (Olanda, Svezia, Danimarca, Austria) mettono continuamente i bastoni tra le ruote, soprattutto all’Italia; quale Europa è questa?

È una Europa che sta mostrando di essere evidentemente ancora incompiuta. Ma all’Unione europea e all’euro ‒ è bene dirlo con assoluta convinzione ‒ non c’è alternativa. Se l’Europa deve rafforzarsi, l’Italia deve dare il suo contributo, sia in termini propositivi sia in termini di attuazione di riforme strutturali che non sono ancora state fatte. Se dall’Europa è giusto pretendere aiuto e solidarietà, soprattutto in questo momento, è anche corretto impegnarsi affinché questo aiuto e questa solidarietà vengano impiegati nel modo più efficiente ed efficace possibile.

Al dialogo continuo nei vari consessi europei non c’è alternativa. L’Europa è un club che, come tutti i club, ha determinate regole da seguire. Si può lavorare sulla riforma di queste regole e da parte di molti Stati membri c’è la disponibilità a farlo, ma è anche giusto dire che le regole vanno rispettate.

Oltre 170 miliardi di euro per la ripresa messi a disposizione dell’Italia dall’Europa. Come spenderli al meglio evitando le solite critiche che ci definiscono un paese di sciuponi?

170 miliardi di euro sono una cifra significativa, mai stanziata prima. Ma la domanda che mi pongo è la seguente: questo Governo saprà come spendere questi 170 miliardi? La risposta è no, dal momento che non ha ancora neppure redatto il Piano Nazionale delle Riforme che avrebbe dovuto accompagnare il Documento di Economia e Finanza di aprile, dove l’Esecutivo doveva dimostrare di avere già in mente su quali riforme e per quale ammontare impegnare le risorse a disposizione. Non aver presentato quel programma significa non avere idee sul futuro del nostro Paese. Per questo motivo, è assolutamente necessario che si scriva al più presto questo Piano, ma lo si scriva nello spirito di coesione nazionale invocato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Nessun Governo negli ultimi anni è riuscito a dare un colpo mortale alla burocrazia che frena crescita e investimenti esteri. Ma ci sarà pure un sistema per riformare la burocrazia e metterla al servizio di cittadini e imprese?

Il fisco oppressivo, la burocrazia invadente e paralizzante hanno spinto molte imprese italiane a produrre all’estero. Bisogna assicurare nuove condizioni di efficienza per le imprese che operano in Italia e/o hanno delocalizzato la produzione, attraverso l’introduzione di una Flat Tax, la riduzione dei costi dell’energia, la riduzione del costo del lavoro, in particolare per le nuove assunzioni di giovani, il rafforzamento dei rapporti con i grandi venture capitals internazionali, il rafforzamento della normativa sui Mini corporate bonds, lo sviluppo degli incubatori d’impresa, favorendo “spazi a fiscalità zero e costi zero” principalmente, ma non solo, a livello di Macroregioni del Sud.

A livello locale, occorre introdurre una rivoluzione amministrativa e digitale per le attività economiche, i cittadini e le famiglie, che elimini inutili procedure autorizzative, rendendo i territori attrattivi per gli investimenti privati e facili da vivere; occorre, inoltre, rivedere e semplificare la normativa sugli appalti in modo da consentire la realizzazione di maggiori investimenti.

Si deve tendere ad una “burocrazia zero”. Occorre rimettere mano su tutto e far ritornare un giusto equilibrio tra obiettivi di una Pubblica amministrazione efficiente e diritti dei cittadini. Occorre razionalizzare e semplificare la burocrazia e le procedure amministrative, sopprimendo l’ingerenza della mano pubblica sui liberi meccanismi di mercato. Per ottenere questo obiettivo, pensiamo che tra le priorità ci siano la valorizzazione del merito; il ripristino di un sistema di valutazione del personale attendibile, misurabile ed effettivamente indipendente dal Governo; revisione ragionata e completa della responsabilità dei pubblici amministratori per consentir loro di operare con maggior trasparenza e tranquillità; la soppressione di tutte le procedure autorizzatorie (autorizzazioni, permessi, nullaosta) che non siano giustificate dalla tutela di interessi pubblici davvero fondamentali; fare in modo che nessuna autorizzazione, statale o comunale, debba esserci per l’apertura di un cantiere di un esercizio commerciale; liberalizzare le attività economiche; eliminare qualsiasi barriera all’ingresso all’attività economica; riconvertire l’apparato burocratico potenziandone la capacità amministrativa; prevedere, per un periodo sperimentale di 5 anni, l’avvio di nuove attività d’impresa, commerciali o professionali, attraverso una mera comunicazione con la quale si attesti il rispetto della vigente disciplina per la relativa attività. E, infine, l’introduzione generalizzata dell’e-government, vale a dire l’uso delle nuove tecnologie nella relazione tra burocrazia, cittadini e imprese. Se la posta elettronica certificata (PEC) implicasse l’obbligatorietà della risposta della PA alle richieste dei cittadini, cambierebbe tutto: trasparenza, efficienza, produttività, responsabilità e merito.

La corruzione è un fenomeno lontano dall’essere debellato, fuori e dentro le Istituzioni. È possibile che ogni iniziativa economica e imprenditoriale sia bloccata per il solo pericolo di infiltrazioni mafiose o di attività illecite di funzionari pubblici infedeli?

Le azioni concrete, nel campo della legislazione e delle misure di contrasto e di repressione, dei governi del centro-destra contro le organizzazioni mafiose, dimostrano una coerenza e costanza di impegno fattivo. Con i miei governi, infatti, è stato reso permanente e inasprito il 41bis; sono stati arrestati 1.296 latitanti mafiosi (32 fra i principali ricercati); il Procuratore Antimafia ha avuto più poteri; sono stati sequestrati e confiscati 49.035 beni alla mafia, per un totale di 25 miliardi di euro.

Sono azioni che vanno potenziate ed estese anche a livello internazionale, con una maggiore cooperazione delle diverse Intelligence e una maggiore attenzione alla cybersecurity.

Per questo: mai abbassare la guardia, mai deviare dagli obiettivi. È opportuno evitare che l’estensione delle eccezionali norme della legislazione antimafia ad altre tipologie di reato (ad esempio, quelle contro la Pubblica amministrazione) provochi un effetto distorsivo di annacquamento delle priorità alla lotta alle vere organizzazioni criminali mafiose. Soprattutto in alcune realtà del nostro Paese, dove è più difficile distinguere tra interessi legittimi e zone più grigie, anziché essere “ad indagine facile”, i Sindaci andrebbero assistiti dallo Stato attraverso forme di accompagnamento nell’espletamento delle procedure amministrative utili a rendere i nostri Comuni più impermeabili alle infiltrazioni criminali. Solo una lotta alla corruzione, caratterizzata da sinergie e prevenzione, garantirà il corretto equilibrio fra giustizia e politica.

La battaglia per un fisco più equo è trasversale ad ogni passar di governo. Poi, però, il taglio delle tasse non avviene e si torna a pensare alla patrimoniale per trovare benzina per la macchina dello Stato. E ai cittadini che diciamo?

Al primo punto del nostro programma con il quale ci siamo presentati, come centro-destra unito, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, c’era la Flat Tax. E rimane per noi il perno della nostra politica, per dire basta all’oppressione fiscale. La Flat Tax è una vera e propria rivoluzione fiscale (“pagare meno per pagare tutti”), un’aliquota unica per tutti, famiglie e imprese, progressiva, grazie a una detrazione concessa alla base, per dare più certezze e garantire un sistema fiscale più equo e vicino ai cittadini, per semplificare il sistema fiscale, per ridurre l’evasione e l’elusione. Ridurre la pressione fiscale significa restituire potere d’acquisto alle famiglie, per cui aumentano i consumi, e dotare di liquidità le imprese, per cui aumentano gli investimenti. Più consumi e più investimenti, a loro volta, generano nuova crescita e creano nuova occupazione. Più occupazione significa più gettito per lo Stato, che quindi ha maggiore disponibilità di risorse: da un lato, per ridurre il deficit e il debito; dall’altro, per finanziare più welfare e più sicurezza. Ne deriva più benessere per tutti. Ed è questo quello che abbiamo sempre teorizzato sin dal 1994 e che abbiamo definito “l’equazione liberale del benessere”. Siamo, invece, contrari a qualsiasi forma di tassazione patrimoniale sulla ricchezza delle famiglie, sia per non sottrarre risorse all’economia reale, in un momento nel quale, al contrario, è importante che in circolazione vi sia più liquidità possibile, sia perché lo Stato non può pretendere di sottrarre a famiglie e imprese quello che hanno messo da parte nel corso di una vita e che è già stato tassato come reddito, soprattutto in un Paese ad elevata propensione al risparmio come il nostro.

Occorre poi istituire una vera e propria “pace fiscale” per tutti i piccoli contribuenti che si trovano attualmente in condizioni di difficoltà economica. Dalla definizione di tutte le liti pendenti, che deve riguardare tutti gli atti in contestazione (avvisi di accertamento, cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento ed avvisi di irrogazione di sanzioni), all’annullamento totale delle sanzioni e degli interessi e con il pagamento forfettario del tributo in contestazione. Occorre poi modificare la forza probatoria degli studi di settore e dello spesometro, nonché l’inversione dell’onere della prova fiscale, in una più ampia riforma del contenzioso tributario.

Oltre a tutto questo, Forza Italia ha da sempre creduto nella necessità di eliminare l’Irap, l’imposta “rapina” introdotta dal governo Prodi sulle imprese. Nei giorni scorsi, Forza Italia ha presentato un primo emendamento al “dl rilancio” per l’abolizione di questa tassa estremamente inefficiente ed iniqua, un fardello insostenibile per chi vuole fare impresa nel nostro Paese.

Altro pantano dove si ferma l’azione di ogni governo è la riforma della giustizia: la lunghezza del processo civile, la prescrizione, la riforma delle carriere dei magistrati e del Csm, fino al mezzo di indagine rappresentato dalle intercettazioni. Per nessuna di queste emergenze si prospetta una soluzione?  

Combattere l’oppressione giudiziaria, oltre che quella fiscale e burocratica, è da sempre una battaglia di Forza Italia. La “giustizia giusta”, quale noi auspichiamo, prevede: una maggior tutela per le vittime, per le donne e per i minori e per tutto ciò che concerne le violenze domestiche; la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; la fine delle porte girevoli fra magistratura e politica; una vera responsabilità civile dei magistrati; la carriera dei magistrati basata su criteri di merito ed anzianità prestabiliti; l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado di giudizio; norme più liberali e garantiste sulle intercettazioni; il divieto di pubblicazione delle intercettazioni, soprattutto se non strettamente legate al fatto di reato; l’eliminazione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati; la limitazione della carcerazione preventiva; maggiore dignità per i cittadini detenuti e incentivazione del lavoro nelle carceri; accordi bilaterali per detenzione nei paesi d’origine e nuovo Piano carceri; una piena e totale implementazione dell’informatizzazione della giustizia e del processo telematico; la riduzione dei tempi, nella media Ue, della giustizia civile, penale e tributaria; un piano straordinario di smaltimento delle cause arretrate; liberare il cittadino dalle drammatiche conseguenze del processo mediatico, che è senza appello e rimedio, ampliando il concetto di notizia non pubblicabile, nonché aggiungendo il divieto di pubblicare i nominativi e le foto dei magistrati che conducono indagini e processi; l’attuazione del giusto processo, con pari dignità tra accusa e difesa; il potenziamento del ricorso a misure alternative al processo penale, sulla base delle esperienze positive della messa alla prova, in assenza di pericolosità sociale, anche in relazione alla finalità rieducativa della pena; il potenziamento della legislazione sui reati contro il patrimonio (furti in appartamenti e ville, rapine); no a sconti di pena per reati di particolare violenza ed efferatezza; il risarcimento agli innocenti; l’istituzione di sezioni distaccate del Consiglio di Stato; la regolazione, con legge costituzionale e successivamente con legge ordinaria della composizione e delle competenze del Csm; l’esclusione assoluta dei magistrati in servizio dalle posizioni “apicali” degli uffici “gestori” del Ministero di Giustizia, limitandone la presenza solo all’Ispettorato e agli uffici di diretta collaborazione; il potenziamento delle competenze e delle modalità di giudizio delle giurie popolari.

Immigrazione e integrazione. Il solito cattivo pensiero ci fa credere che anche questo tema per il Governo sia un problema difficilmente risolvibile. Eppure, sta diventando una emergenza sociale?

In tema di immigrazione, occorre mettere ordine e razionalità nell’accoglienza, gestita per anni in modo caotico, dispendioso e in alcuni casi criminogeno, come dimostrano le numerose inchieste giornalistiche e giudiziarie di questi anni.

Da un lato, è necessario rivedere la legislazione vigente, per renderla coerente con quella europea, in modo da garantire protezione esclusivamente a chi ne ha diritto, consentendo accoglienza in Italia solo a chi ha titolo per stare anche nel resto d’Europa. Ma è necessario anche abolire l’anomalia, solo italiana, della concessione indiscriminata della sedicente protezione umanitaria, mantenendo soltanto gli status di rifugiato e di eventuale protezione sussidiaria.

Dall’altro, vanno implementati i rimpatri dall’Italia verso i paesi d’origine dei clandestini, al fine di scoraggiare i flussi dei migranti che continuano a ingrossare le fila dei “terroristi della speranza” (gli scafisti) e il loro business stimato per oltre 400 milioni di dollari l’anno. Ricollocare, infine, gli aventi diritto, distribuendoli in tutti i paesi europei.

La scuola, il mondo del lavoro e della conciliazione dei tempi con le esigenze della famiglia, già a settembre sono settori che scoppieranno in maniera clamorosa dopo la pandemia. Le soluzioni proposte, a Suo giudizio, hanno un senso e qualche possibilità di essere efficaci?

Il decreto scuola, appena approvato, e alla vigilia della conclusione dell’anno scolastico e degli esami di Stato, non dà le risposte che la scuola, le famiglie e l’opinione pubblica si sarebbero aspettate. Manca una road map e mancano i finanziamenti necessari. Ci saremmo aspettati interventi urgenti nell’edilizia scolastica, di cui si parla ma che non sono stati ancora attuati, équipe psico-pedagogiche nelle scuole e piani massicci di formazione per docenti, alunni e genitori. E invece nulla.

Il ricorso al lavoro agile e alla didattica a distanza, dall’8 marzo ad oggi, ha evidenziato alcuni problemi che già nella fase 2 della pandemia avrebbero dovuto trovare soluzioni, ma poiché non si è fatto, devono diventare obiettivo politico nella fase 3 appena iniziata per rimuovere, ad esempio, i ritardi nella mancata attuazione dell’Agenda digitale. Colmare, quindi, lo scarso uso di tecnologie nelle scuole e fornire device agli studenti e ai docenti che tuttora ne sono sprovvisti.

Il Governo ha commesso tanti errori ormai irrimediabili: ha in questi mesi completamente ignorato il Parlamento e le forze di opposizione e invece ha annunciato, con mesi di anticipo, promozioni per tutti. Il Governo, anziché creare pasticci insormontabili, avrebbe dovuto seguire la ricetta di Forza Italia: riconsiderazione delle scuole paritarie tra le scuole destinatarie dei finanziamenti dei decreti emergenziali; un intervento massiccio nella formazione degli insegnanti; un investimento nell’autonomia degli istituti scolastici facendo leva sui dirigenti, per un modello di scuola più flessibile e più orientato alle esigenze dell’era digitale. Più pluralismo con le scuole paritarie, più campus e meno caserme, niente doppi turni e lezioni a giorni alterni, ma schemi flessibili e creativi che coinvolgano reti orizzontali e filiere verticali territoriali, per innovare, includere e formare competenze al passo con i tempi.

La tragedia del Coronavirus ha messo a nudo le carenze di una sanità depauperata e abbandonata, almeno in alcune regioni italiane. Occorre tornare ad investire nella sanità pubblica?

Questa tragica emergenza ci ha indicato con chiarezza che la filiera della salute è strategica per il nostro Paese. Abbiamo professionalità straordinarie: medici, infermieri, farmacisti, biologi, tecnici che ci invidiano nel mondo. Abbiamo anche eccellenze ospedaliere che in questi anni si sono rafforzate in una sana e proficua competizione tra sanità pubblica e sanità privata. Il cittadino deve avere risposte efficaci e rapide alla domanda sempre crescente di salute.

Vanno abbattute le liste di attesa oggi ancor più lunghe dopo l’emergenza; va ricostruito un modello territoriale che integri il ruolo strategico dei medici di base ai dipartimenti di pubblica prevenzione; va riammodernata la rete ospedaliera utilizzando le ingenti risorse del Mes, disegnando un nuovo contratto per il personale adeguandolo agli standard europei.

Abbiamo registrato che troppi giovani medici vanno a formarsi all’estero dove spesso rimangono e, invece, subito occorrono a regime 5.000 nuove borse di studio per gli specializzandi.

Subito sono da abolire tutti i ticket per gli ultra sessantacinquenni, garantendo loro anche visite e protesi odontoiatriche, audioprotesiche ed occhiali.

Un capitolo a parte merita la filiera industriale, farmaceutica e vaccinale della sanità che è parte delle eccellenze del nostro Paese e va sostenuta, evitando anche in questo campo le migrazioni e delocalizzazioni di imprese verso lidi più accoglienti.

Una sanità a misura del cittadino e soprattutto con standard di qualità eguali ovunque nello Stivale.

Il mondo dell’informazione sembra una prateria senza regole soprattutto all’alba dell’ingresso dei social network. Come conciliare, la libertà di stampa con una informazione più moderna e trasparente?

Per continuare a rispettare l’articolo 21 della nostra Costituzione, occorre avere coscienza di vivere un tempo nel quale è necessario prevedere alcuni antidoti al grande male dell’informazione del XXI secolo: le fake news. Solo un’informazione certificata dalla professionalità di chi la produce può curare questo male. Per questo ci siamo battuti affinché l’Europa adottasse la normativa per la tutela del copyright, che rappresenta la prima forma di tutela di chi fa informazione. La violazione sistematica del diritto d’autore, infatti, ha messo in ginocchio intere categorie professionali (scrittori, giornalisti, fotografi) e costituisce un furto esattamente come accade per un bene materiale. La mancanza di controlli e la deresponsabilizzazione hanno consentito nel tempo la diffusione delle fake news, che possono addirittura sovvertire l’ordine democratico e interferire sui risultati elettorali. Questo non significa, naturalmente, limitare la libertà dei mezzi di comunicazione, che è un valore assoluto. Ma la libertà di espressione si basa prima di tutto sull’autorevolezza e la credibilità del lavoro giornalistico.

Non distanza, ma una vera e propria frattura tra Sistema e Paese. L’esistenza di un così grave rischio per la tenuta della democrazia, dell’economia e degli assetti sociali è stata segnalata dal Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, nel suo libro di recente uscita L’Italia del nì. E ancora, nelle pagine del Rapporto Italia 2020, sempre Fara ha parlato di un’Italia da ri-costituire, ossia della necessità di avviare una profonda “opera di ricostruzione” materiale e morale nella quale dovrebbero impegnarsi la classe dirigente del Paese in tutte le sue componenti e gli stessi cittadini: «Per riportare la politica al centro dell’attività dello Stato, e perché ritorni ad ispirarne l’azione, la Politica deve fare una cura “ri-costituente”, cioè deve affrontare una nuova fase costituente». Può essere questa, secondo Lei, una possibile via per uscire dalla crisi della politica e recuperare il rapporto di fiducia tra cittadini e Istituzioni di cui la democrazia ha bisogno per funzionare realmente?

Sono certamente d’accordo sul fatto che occorra una nuova fase costituente per far ripartire il Paese. È oggi il momento delle riforme. Ora o mai più. Con una economia che sta crollando, un deficit e un debito in continuo aumento, imprese che chiudono, occorre effettività, riforme e concretezza. Abbiamo bisogno di un nuovo patto economico e sociale, come auspicato dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, tra tutte le componenti della società. Per farlo, occorre evidentemente il contributo di tutti: famiglie, imprese, università, banche, cultura e naturalmente politica di maggioranza e di opposizione. Dal momento che in Italia arriveranno presto dei fondi europei necessari per la ricostruzione, l’occasione giusta per questa fase costituente potrebbe essere quella della scrittura del Piano Nazionale delle Riforme, ovvero il programma da presentare ai cittadini e all’Unione europea, contenente la lista delle riforme da fare nel prossimo triennio, con le relative tempistiche e i relativi costi. Un documento indispensabile, necessario se si vuole dare una programmazione di medio-lungo termine alle opere indispensabili da fare. Essendo un programma a lunga scadenza, deve quindi essere scritto comunemente, con il contributo di tutti, perché deve prescindere dai Governi che lo attueranno in futuro. Forza Italia ha già fatto la sua parte, contribuendo con il suo voto ad approvare ben due discostamenti di bilancio in Parlamento. Due discostamenti che mettono in condizione il Governo di spendere immediatamente maggiori risorse per fronteggiare questa crisi. Ecco, è questo l’atteggiamento che mi auguro ci sia anche da parte della maggioranza e di tutte le componenti sociali.

Sul fronte della spesa pubblica, secondo i calcoli dell’Eurispes, un residente del Sud Italia nel 2017 ha ricevuto mediamente 3.482 euro in meno rispetto a uno del Centro-Nord. Se della spesa pubblica totale, si considera la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione, emerge che dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottrattagli ammonta a più di 840 miliardi di euro, netti. Il quasi “monopolio” economico esercitato da parte del Nord sul mercato meridionale e nazionale, imposto e instaurato nei primi anni dell’Unità, è tutt’oggi, di fatto, essenzialmente ancora in piedi. Il Pil al Nord Italia dipende molto poco dalle esportazioni all’estero e per grossissima parte, invece, dalla vendita di prodotti al Sud. Anche la situazione di import-export, tutta a vantaggio del Settentrione, è resa possibile, paradossalmente, proprio da quei tanto discussi trasferimenti da Nord a Sud, come frutto delle tasse pagate dal Settentrione. Se questi ultimi infatti fossero oggi annullati o semplicemente ridotti, incredibilmente il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, subendone le conseguenze peggiori. Lo spirito e la capacità di resistenza delle popolazioni meridionali si esprimono sempre nel migliore dei modi in condizioni di difficoltà e di emergenza. Lo abbiamo visto anche nel corso della pandemia causata dal Covid-19. Proprio la crisi ancora in atto dovrebbe portare a far riflettere la politica e il governo sulla necessità di ristabilire il ruolo trainante dell’economia del Mezzogiorno e destinare ad esso una buona parte degli aiuti europei per rilanciare queste aree e creare finalmente le infrastrutture necessarie alla valorizzazione del territorio e delle imprese. Le istanze del Sud rimarranno ancora una volta disattese?

Credo che l’Italia nel XXI secolo non possa certo permettersi di mantenere una contrapposizione fra ragioni e interessi del Nord e del Sud. Questo non fa il bene di nessuno. O l’Italia supera questa fase critica e torna a crescere tutta insieme oppure rischiamo di non avere un futuro come Paese. Detto questo, io credo che per il Sud si debba fare molto di più. Il Sud ha tutte le potenzialità per esprimersi al meglio, recuperare il gap con la restante parte del Paese ed anzi trainarlo nella crescita.

Bisogna che la norma che riserva il 34% della spesa corrente al Mezzogiorno sia efficace con automatismi diretti ed insieme va creata una grande “no tax area” per attrarre nuovi investimenti e rendere ancora più competitive le attività produttive che eroicamente resistono al Sud.

Altro aspetto determinante è la rivoluzione della Pubblica amministrazione: troppo spesso diventa essa stessa un limite ed un macigno di burocrazia dai tempi biblici.

Il Mezzogiorno che vogliamo passa dalla vivacità e dalla intelligenza delle ragazze e dei ragazzi che vanno aiutati a formarsi al Sud e dagli imprenditori che, proprio perché devono scontare maggiori difficoltà di contesto (dal credito alla criminalità), sono più bravi e, se aiutati con uno shock fiscale, sicuramente capaci di vincere le scommesse sui mercati nazionali ed internazionali.

Agricoltura e turismo sono gli altri hub che dobbiamo alimentare per far crescere quella sana economia che scaccia la mala pianta e dà speranza ai nostri straordinari giovani.

Domanda sul Mezzogiorno: le Regioni del Mezzogiorno hanno dato all’emergenza pandemia una risposta forte, che solo chi non conosce questa gente può classificare come una sorpresa. Ma ora il Governo deve passare dalle parole ai fatti e destinare una buona parte dei miliardi promessi dall’Europa per il lavoro e le infrastrutture al Sud. Anche questa volta rimarremo delusi?

Chi vive nel Meridione ha dimostrato ancora una volta buonsenso e rispetto, pur scontando un deficit infrastrutturale intollerabile.

La sanità nel Mezzogiorno comprende eccellenze di grande valore, ma in generale gli ospedali al Sud sono vecchi e malandati (addirittura in alcune regioni superano gli 80 anni di età media), gli apparecchi elettromedicali hanno una obsolescenza tripla rispetto alla restante parte del Paese: insomma il diritto alla salute nel Mezzogiorno è negato. La prova è data anche dall’aspettativa di vita che, nelle regioni del Sud, nonostante la scarsità degli insediamenti industriali, è mediamente di circa due anni inferiore alla restante parte del Paese.

Quale migliore occasione, quella del regionalismo differenziato, nel garantire, prima di ogni riforma necessaria, i livelli essenziali di assistenza e le prestazioni conseguenti proprio al Sud, utilizzando la cospicua dotazione di risorse del Mes che vanno utilizzate precipuamente sul fronte delle tutele sanitarie per azzerare le liste di attesa, per migliorare la rete territoriale, di emergenza ed oncologica.

“No tax area”, Ponte sullo stretto, Alta velocità fino a Reggio Calabria e fino a Bari, opere irrigue per l’agricoltura e logistica di servizio, reti digitali, scuole, università ed asili.

L’emergenza Covid-19 ci offre una grande opportunità: rivoluzionare il paradigma di un Mezzogiorno indolente e declinarlo in un modello di motore propulsivo dell’intero Paese: questa è la sfida del buongoverno!

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