La recente regolarizzazione dei migranti residenti in Italia, disposta dal Governo Conte con l’art. 103 del Dl 34/2020, convertito con modificazioni in legge 77/2020, fu richiesta e salutata come necessaria e utile da sindacati, esperti e dall’associazionismo più qualificato.
Regolarizzazione migranti 2020: cosa prevede
È stato più volte affermato che essa avrebbe permesso ai migranti che vivono condizioni di sfruttamento e di grave emarginazione – come quelli che abitano negli insediamenti informali – di superare gli effetti ulteriormente drammatici imposti dalla pandemia e di entrare nella sfera del diritto uscendo da quella delle agromafie e del caporalato.
La regolarizzazione dei migranti, in realtà, nasceva limitata, perché riguardava tre soli settori lavorativi: quello agricolo, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona. Si potrebbe dire “meglio di niente”. A distanza di circa nove mesi dal termine ultimo fissato dal Governo per la presentazione delle relative domande (ossia dal 15 agosto 2020) è arrivato probabilmente il tempo di alcuni bilanci. A riflettere in questo senso, tra i primi, il ricercatore di diritto del lavoro, William Chiaromonte, dell’Università di Firenze, che su Labour Law Community approfondisce il tema mettendone in luce criticità e contraddizioni.
La procedura di regolarizzazione, i requisiti
Chiaromonte ricorda, correttamente, che la procedura di emersione e regolarizzazione prevista, si fondava su due distinti percorsi. Il primo consentiva ai datori di lavoro di presentare un’istanza per la stipulazione un contratto di lavoro subordinato con un immigrato già presente in Italia prima dell’8 marzo 2020, o di far emergere un rapporto lavorativo irregolare in essere al 19 maggio 2020 con un immigrato già presente in Italia prima dell’8 marzo 2020 (ma anche con un cittadino italiano o Ue).
Il secondo percorso consentiva invece agli immigrati con permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre 2019 – e che avessero già lavorato in uno dei tre settori individuati – di chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta di lavoro di durata semestrale, convertibile in permesso di soggiorno per lavoro qualora, nel termine di durata del permesso temporaneo, fossero riusciti a trovare un’occupazione (sempre in uno dei tre settori richiamati).
I dati sulla regolarizzazione dei migranti
Per comprendere l’esito di tali procedure di regolarizzazione dei migranti, si deve necessariamente ragionare sui dati ufficiali sinora a disposizione. Sotto questo profilo, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, fra il 1° giugno 2020 (data di avvio della procedura) e il 15 agosto dello stesso anno, sono state presentate 207.542 domande attraverso il primo canale, prevalentemente nel settore del lavoro domestico e di assistenza alla persona (circa l’85% del totale delle domande trasmesse, pari a 176.848), e in numero decisamente inferiore in relazione all’emersione di altre forme di lavoro subordinato (il 15% del totale, pari a 30.694), di cui solo circa 29.500 in agricoltura (le rimanenti concernono la pesca e gli altri settori affini coinvolti).
Questo risultato lascia immaginare una riflessione non certo lusinghiera sulla riuscita della sanatoria. A questi dati, vanno aggiunte le richieste di permesso di soggiorno temporaneo presentate in relazione al secondo canale di regolarizzazione dei migranti(12.986). Ciò che a prima vista colpisce, secondo il ricercatore di diritto del lavoro di Firenze, non è tanto il dato complessivo delle domande – superiore del 54% a quello della sanatoria del 2012 –, quanto la netta prevalenza di istanze presentate da datori di lavoro nell’ambito del lavoro domestico e di cura della persona e non, come ci si sarebbe aspettato, nell’ambito del settore agricolo, ove si è registrato un vero e proprio “flop”.
Il settore agricolo presenta diffuse contraddizioni al suo interno che comprendono l’impiego di manodopera – spesso migrante e reclutata in modo illecito – impiegata in condizioni di sfruttamento e di grave sfruttamento, forme di disagio abitativo, segregazione periferica, povertà endemica e assenza strutturale di servizi sociali localmente organizzati volti a superare tali problematiche. A ciò si aggiunga una presenza stabile di varie organizzazioni mafiose, un peso predominante della Grande Distribuzione Organizzata che spesso agisce mediante pratiche illegali, come le doppie aste al massimo ribasso, e un sistema commerciale che lega questo settore ad una dimensione globale particolarmente complessa.
Il dato che fa davvero riflettere e che denuncia una grave inadempienza del sistema amministrativo pubblico emerge dalla ricognizione svolta in relazione allo stato di avanzamento dell’esame delle domande di regolarizzazione ed emersione che i promotori della campagna “Ero straniero. L’umanità che fa bene” hanno diffuso lo scorso 4 marzo. Dati che fanno riflettere, al punto da fare affiorare un profondo scoramento per una strutturale inefficienza dello Stato a dare risposte certe e celeri alle istanze di legalità avanzate, su sua stessa proposta, da migliaia di persone che vivono da anni condizioni di emarginazione.
Le inefficienze di Stato sui permessi di soggiorno
Al 31 dicembre 2020, infatti, a fonte delle 207.542 domande presentate attraverso il primo canale di regolarizzazione dei migranti, in tutta Italia erano stati rilasciati solamente 1.480 permessi di soggiorno, vale a dire lo 0,71% del totale. Una cifra ridicola per uno Stato evoluto e moderno come il nostro. Al 16 febbraio 2021, invece, solo il 5% delle domande era giunto nella fase finale della procedura (percentuale nel frattempo salita, secondo fonti giornalistiche, fino al 12,7%), mentre il 6% si trovava ancora nella fase precedente della convocazione delle parti per la firma del contratto di lavoro in Prefettura e il successivo rilascio del permesso di soggiorno.
In circa 40 Prefetture – ancora secondo Chiaromonte – le convocazioni non erano ancora state avviate, e le pratiche si trovavano nella fase iniziale di istruttoria. Altrettanto drammatici sono i dati raccolti dalle singole Prefetture. A Firenze, ad esempio, a fronte di 4.483 domande ricevute, a fine gennaio 3mila pratiche risultavano in lavorazione, le convocazioni effettuate erano 100 e 90 i permessi rilasciati. Secondo un facile calcolo, continuando con questi ritmi, serviranno 300 giorni lavorativi per portare a termine tutte le pratiche.
A Roma, invece, a fronte di 16.187 domande ricevute, ancora a fine gennaio risultavano 900 pratiche in lavorazione, ma non era ancora stata effettuata alcuna convocazione, né alcun permesso di soggiorno rilasciato. Altro che 300 giorni, in questo caso serviranno oltre 5 anni per concludere le procedure di emersione in corso per una regolarizzazione che ha appena scalfito il numero complessivo di lavoratori e lavoratrici immigrati impiegati senza un regolare contratto.
A Milano, infine, a fronte di circa 26mila domande ricevute, appena 289 pratiche erano in lavorazione. Anche in questo caso nessuna convocazione era stata effettuata e nessun permesso era stato rilasciato. Quanto tempo ci vorrà per sbrigare a questo ritmo tutte le pratiche presentate? Oltre 30 anni. Un tempo infinito per chi ambisce ad essere regolarizzato subito.
Meglio il secondo canale di regolarizzazione
In relazione al secondo canale di regolarizzazione, la situazione sembrerebbe diversa. Al 31 dicembre dello scorso anno, infatti, erano stati rilasciati 8.887 permessi di soggiorno a fronte di 12.986 domande presentate, vale a dire il 68% del totale, di cui 346 successivamente convertiti in permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Come Chiaramonte fa notare, i criteri di accesso a questa procedura si sono dimostrati da subito marcatamente restrittivi (e le poche domande presentate a tale scopo ne sono stata la dimostrazione più lampante), risultando scarsamente capace di incidere sugli alti tassi di irregolarità che caratterizzano il nostro Paese.
La risposta del Ministero dell’Interno ad una situazione evidentemente drammatica ed avvilente è stata indirizzata al reclutamento di lavoratori in somministrazione per supportare il personale degli Sportelli Unici per l’immigrazione nella gestione dell’istruttoria dei procedimenti amministrativi riguardanti l’emersione dei rapporti di lavoro irregolari, l’acquisizione di documentazione integrativa e la conclusione della procedura con la convocazione degli interessati. Infatti, fra marzo ed aprile sono entrate in servizio 499 nuove unità di personale. Un numero probabilmente insufficiente. Secondo fonti giornalistiche, i nuovi assunti ammonterebbero a 676 cui si aggiungerebbero, a breve, ulteriori assunzioni, con l’obiettivo di arrivare presto alle 800 unità complessivamente previste.
Le ulteriori contraddizioni: la circolare del 21 aprile 2021
Ma le contraddizioni di questo processo non finisco certo qui. Sembra di vivere in un sogno che è destinato a diventare un incubo e nel contempo lo specchio di un Paese che fatica ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni. Lo stesso Ministero dell’Interno, infatti, ha emanato la Circolare del 21 aprile 2021, che sembra inserire nuovi (e ulteriori) ostacoli sul sentiero che conduce all’emersione dallo sfruttamento e dall’irregolarità.
La Circolare afferma che non è possibile ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione qualora, nelle more della procedura di regolarizzazione, cessi il rapporto di lavoro a tempo determinato in precedenza stipulato. Una condizione molto probabile, considerando le specifiche modalità di impiego nel settore agricolo e le lungaggini procedurali vigenti e manifeste.
Per il Ministero, la procedura potrebbe proseguire solo qualora «Il datore di lavoro manifesti la volontà di prorogare il precedente rapporto, o anche di volere nuovamente assumere il lavoratore», mentre non sarebbe possibile il rilascio del permesso per attesa occupazione allorché «Il datore di lavoro non abbia l’intenzione di volere prorogare il rapporto, né di volere nuovamente assumere il lavoratore». Una tale lettura è in contrasto con quanto affermato dall’art. 103 del Dl 34/2020, a mente del quale in caso di perdita del posto di lavoro, anche nel caso di contratto stagionale, va rilasciato un permesso per attesa occupazione, che consente all’interessato di cercare un nuovo impiego.
Ancora una volta in contrasto con quanto affermato dalla circolare, non possono neppure essere frapposti limiti categoriali nell’accesso all’eventuale nuovo impiego con un diverso datore di lavoro, stante il richiamo all’applicazione delle garanzie di cui all’art. 22 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.lgs. 286/1998), che dovrebbe assicurare, a seguito dell’iscrizione al Centro per l’Impiego, il pieno accesso all’intero mercato del lavoro.
La circolare, dunque, esprime una volontà che va nella direzione contraria a quella della regolarizzazione ed emersioni da condizioni di ricattabilità ed emarginazione. Se lo Stato di diritto ha ancora un senso questo deve riguardare l’impegno determinato nel superare qualunque forma di sfruttamento e non di alienare o contrastare i percorsi di regolarizzazione che lo stesso Stato italiano si è impegnato a sviluppare. Numerosi immigrati impiegati nelle campagne italiane, da Nord a Sud, si domandano ora se lo Stato italiano è coerente con quanto dichiara, o se invece preferisce tenere uomini e donne in condizioni di grave emarginazione secondo un approccio discriminatorio e contrario alla legge. In tutto questo, razzisti, mafiosi, caporali e padroni sorridono e ringraziano.
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L’articolo è disponibile anche in inglese
The recent regularisation of migrants residing in Italy
*Marco Omizzolo, ricercatore Eurispes.